newsPink Games. Ovvero i videogiochi di genere

4 Gennaio 2024
Con il termine pink games si intendono quei giochi sviluppati esclusivamente per un pubblico di sesso femminile: solitamente, questi giochi comprendono attività come il dress-up (scegliere l’abbigliamento di bambole o similari), cucinare, cambiare look eccetera, insomma attività considerate appetibili per una bambina.
Le motivazioni della popolarità e di questi giochi rosa si possono trovare in alcune ricerche sociali: tutto nasce, anche qui, dalla dualità maschio/femmina e dai ruoli che sono stati assegnati al genere femminile fin dall’alba dei tempi (o quasi). La situazione è sempre la stessa: le donne generano figli, quindi sono più portate per la cura, e poi prediligono attività tranquille, senza violenza, senza azione. Ovviamente, il modello della donna a casa e dell’uomo procacciatore di denaro è il sunto della società occidentale, e da qui derivano tutti gli stereotipi del caso (Eagly & Wood, 1999, in van Reijmersdal et al, 2013).
Dunque, il female gender role in questo caso gioca uno dei ruoli fondamentali nella questione. Interessante è anche il legame fra genere e spazi, come studiano Bryce e Rutter (2003, in Dickey, 2006): i primi spazi in cui si videogiocava erano i bar, le sale giochi, dove spesso la partecipazione femminile era piuttosto limitata: quando poi il videogioco si è spostato fra le mura domestiche, era ancora il maschio a usare la TV e la console, sebbene ci potessero essere, ovviamente, eccezioni.
Gli studi sui Pink Games non sono molti, e per lo più si concentrano sulla sua versione Web, più raggiungibile dalle bambine: siti composti interamente da minigiochi incentrati sul dressing-up e sul makeover (un esempio era il sito ufficiale di Barbie, chiuso qualche tempo fa, dove chi lo visitava veniva immerso nel mondo della cinematografia della popolare bambola con svariate attività e giochi interattivi).
Il primo tentativo di pink game fu nel 1982, con l’introduzione del personaggio di Ms Pac-Man in un arcade per rendere il gioco più appetibile alle ragazze. Ha funzionato? Beh, sappiamo che fu uno dei cabinati più venduti negli Stati Uniti all’epoca, e che ebbe origine da una mod (una modifica del codice originale del gioco). Il personaggio di Ms Pac-Man (signora, non signorina, badate bene!) era sviluppata sul modello di Pac-Man, ma con l’aggiunta di capelli rosso fuoco, rossetto, ciglia e neo: quale modo migliore di distinguere un personaggio femminile dalla sua controparte maschile se non quello di inserire degli elementi tipicamente stereotipati? Questo è un esempio di quello che poi verrà definito Miss Male Character, “la versione femminile di un personaggio maschile già esistente, definita soprattutto per la relazione che intercorre fra lei e quest’ultimo grazie alle proprietà visuali (come la similitudine dei loro aspetti, salvo distinguere la femmina con un fiocco rosso o con qualcosa di altrettanto femminile), la connessione narrativa o occasionalmente attraverso materiali promozionali” (questa la definizione data dalla critica di videogiochi e attivista Anita Sarkeesian in uno dei video della serie Tropes vs Women: Women in Videogames per il canale YouTube del blog Feminist Frequency).
Ah, ovviamente lei e Pac-Man sono sposati, e alla fine del gioco loro due avranno un figlio (sia mai che nasca un Pac-Pargolo illegittimo!).
Negli anni ’80 c’è stato poi Barbie, videogioco del 1984 per Commodore 64 in cui la giocatrice preparava l’omonima bambola per un appuntamento con Ken, facendo shopping, combinando outfit e insegnando alle bambine l’importanza del vestito giusto per fare colpo sui ragazzi (sì, in caso la mise scelta non fosse ritenuta consona dal caro fidanzato, Barbie avrebbe dovuto ricominciare da capo). Già all’epoca il gioco era stato criticato per il poco valore che dava al denaro, facendo intendere alle piccole giocatrici che i soldi erano illimitati e quindi sperperabili.
Ovviamente, Barbie non poteva fermarsi a un solo videogioco: quello fu solo l’inizio di un’ascesa che ha proseguito per anni, grazie anche al popolare franchise di film della bambola bionda più famosa al mondo.
La fine degli anni ’80 e i ’90 hanno poi subito un piccolo risveglio per quanto riguarda le trame dei pink games, facendo uscire sul mercato titoli come Barbie Fashion Designer (1996) e Secrets Can Kill (1998), ispirato a Nancy Drew (Romanini, Accordi Rickards, 2023), ma senza portare vere e proprie rivoluzioni.
Con l’arrivo delle console portatili ci fu anche l’avvento di una serie di videogiochi che le ragazze potevano portare con loro ovunque volessero: in Pokémon Cristallo (uscito nel 2000 in Giappone per Game Boy Color) per la prima volta era possibile scegliere una protagonista femmina, segno che l’azienda si fosse resa forse conto del fatto che anche alle bambine piacevano i Pokémon, e avevano bisogno di sentirsi rappresentate in prima persona.
Con il Nintendo DS (2004) emersero parecchi titoli female-oriented: in particolare, la già citata serie di Giulia Passione, ma anche Cooking Mama, in cui una donna (una madre, non di meno) ci insegnava a cucinare piatti di tutto il mondo, Nintendogz (dove l* giocator* deve accudire teneri cagnolini), e in particolare ricordo Secret Flirts (2009), in cui la protagonista, attraverso una serie di azioni quotidiane (sotto forma di minigiochi), doveva raggiungere un certo livello di bellezza, magrezza, intelligenza e popolarità per poter uscire con un determinato ragazzo: ogni volta, superato uno o più appuntamenti, scattava il bacio e si veniva scaricate con le scuse più assurde.
Ma, d’altronde, domani è un altro giorno, e allora via, a continuare la routine per poter attrarre il ragazzo successivo, fino a raggiungere il vero amore, quello incontrato una volta raggiunto il massimo livello di ogni criterio sopra elencato.
I Nintendo DS, i GameBoy, le PSP e tutte le altre console vantavano inoltre una nuance perfetta per le bambine: rosa, ovviamente. Non esistono statistiche su quante console rosa siano state effettivamente vendute in quegli anni, ma sono pronta a scommettere che parecchie bambine di quegli anni abbiano ricevuto un Nintendo DS rosa e bianco per Natale. Magari con all’interno uno dei tanti Giulia Passione o Nintendogz.
E oggi? Oggi, finalmente la principessa Peach può essere parte attiva in Super Mario Wonder (insieme a Daisy, e Toadette), senza vedere il suo Regno dei Funghi invaso di nuovo da Bowser, e nel 2024 avrà di nuovo un videogioco tutto suo (in cui però sembra, a differenza del precedente titolo del 2005 in cui lei ricopriva il ruolo di main character, che non saranno le sue emozioni a dettare i suoi poteri, ma le sue abilità).
I giochi female-oriented probabilmente esisteranno finché esisterà l’industria videoludica, ma oggi abbiamo così tanti esempi di donne protagoniste nei videogiochi da “compensare” questa eccessiva sessualizzazione e stereotipizzazione.
Questi, dopotutto, sono gli anni delle Aloy, delle Ellie, delle Karlach e delle Bayonetta, ma anche delle nuove principesse Peach e Zelda e anche delle vecchie Barbie, se prese con cognizione di causa. Ogni tanto serve anche essere un po’ pink, no?

Beatrice Tabacchi

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