La questione economica, quando si parla di violenze di genere, è spesso trascurata e/o messa da parte a causa del suo essere culturalmente tollerata, e in quanto tale è così insita nella società di oggi da essere difficilmente estirpabile. Si sa, le donne fino a non troppi anni fa erano sollecitate a lasciare il lavoro dopo il matrimonio, a sposarsi perché una donna che lavorava era una donna indipendente e con dei pensieri suoi, e di certo questo non era ammissibile: quanto ci discostiamo, però, dalla realtà odierna?
La violenza economica di genere, per definizione, si può riassumere in “tutti i comportamenti volti a controllare l’abilità della donna di acquisire, utilizzare e mantenere risorse economiche” (Adams et al, 2008, citato nel rapporto WeWorld del 2023 sulla violenza economica di genere): non ha ceto, non ha età, non colpisce donne con un background specifico, e proprio per questo è così subdola. Dal “sessismo benevolo” (WeWorld, 2023), in cui l’uomo si “offre” di occuparsi delle finanze in quanto più “adatto” a veri e propri abusi sessuali, fisici ed emotivi (che spesso vanno a braccetto con questo tipo di violenza silenziosa) i soldi sono solo un espediente per il genere maschile per esercitare il suo potere sociale e culturale.
Per l’indagine di WeWorld e Ipsos del 2023, svolta su un campione di 1200 persone, la violenza economica è considerata un problema grave solo dal 59% degli intervistati. Per il 49% di loro, le donne sono vittime di violenza economica perché non hanno accesso al mondo del lavoro quanto gli uomini: il 52% vorrebbe riconosciuto il ruolo della donna in casa e con i figli come un mestiere vero e proprio, e da qui il diritto a ricevere una parte delle entrate. A stupire è il dato riguardante la Gen Z, che sebbene riconosca in percentuale più numerosa il problema della violenza economica (6% contro l’1% della media delle altre categorie), continua a sostenere i metodi più tradizionali per contrastarla (sono anche i maggiori sostenitori dell’idea che sia la donna a non volersi occupare delle questioni economiche per una sua sensazione di inadeguatezza). Il 49% delle donne ha subito almeno una volta violenza economica, per non parlare delle donne separate/divorziate: per loro, la percentuale sale al 67%.
La questione delle donne separate/divorziate è uno degli esempi più lampanti della violenza economica di genere. Secondo i dati dell’indagine, gli uomini post separazione/divorzio si ritrovano in una condizione economica migliore rispetto alla loro controparte femminile: circa il 34% delle intervistate afferma che la sua condizione economica dopo la separazione/divorzio è peggiorata molto, e il 37% dice di non ricevere del tutto la somma di denaro concordata per la cura dei figli/e.
La soluzione più lampante è quella di educare all’economia e alla finanza, ma in modo pratico, così da evitare possibilità asimmetrie di potere. Il 44% del campione afferma che questa educazione all’indipendenza economica dovrebbe iniziare fin dalle scuole elementari/medie.Il mondo dei social si è già popolato di donne che spiegano come gestire le proprie finanze e le basi dell’economia quotidiana: creator come @pecuniami (vero nome Aminata Gabriella Fall) e @lafinanzadonna (Ginevra Zucconi) hanno reso i soldi una lingua alla portata di tutti.
Nel 2020 è stato istituito anche il reddito di libertà, che permette alle donne che si stanno allontanando da una situazione di violenza e abusi di potersi auto-sostentare. L’idea è ottima, ma i fondi a malapena bastano a coprire le richieste: nel 2023 la cifra stanziata ammonta a 1.850.000 euro, mentre fra il 2020 e il 2022 erano stati stanziati 12 milioni di euro, comunque insufficienti a soddisfare il bisogno di tutte quelle donne in cerca di rassicurazioni dallo Stato.
Vedere C’è ancora domani (di e con una magistrale Paola Cortellesi) mi ha lasciato un gran vuoto dentro, ma anche una piccola, minuscola speranza: il personaggio interpretato da Paola, Delia, porta tutti i giorni i soldi dei suoi numerosi “lavoretti” (sottopagati) al marito, Ivano (Valerio Mastandrea), che però continua a lamentarsi del fatto che di denaro ce ne sia ben poco. La verità è che Delia mette da parte un po’ di quelle lire da lei stessa guadagnate per il vestito da sposa di Marcella, sua figlia maggiore, che si è fidanzata ufficialmente con Giulio, un ragazzo della borghesia arricchita (è figlio di proprietari di un bar piuttosto noto e frequentato lì nel quartiere). Marcella ha smesso di studiare per aiutare con i soldi a casa, le medie le sta facendo suo fratello minore “perché è maschio” (così le dice il padre). I soldi per mandarla a scuola non ci sono, e anche se ci fossero, beh, li spenderebbero per l’altro fratello minore (sì, esatto, perché è maschio). Ivano vorrebbe che Marcella si sposasse con il vecchio abito di Delia, ormai fuori moda e anche rovinato, ma con i soldi che Delia ha messo da parte lei potrà avere un meraviglioso abito nuovo, così da essere la sposa più felice del mondo, e andarsene da quella casa piena di miseria e violenza.
Arriva però il referendum Monarchia/Repubblica del 2/3 Giugno 1946 e così anche la possibilità per le donne di votare per la prima volta. Delia riceve la sua scheda elettorale via posta e fino alla fine è combattuta sul compiere o meno quella ribellione, che la porterebbe quasi sicuramente alla morte per mano del marito (che la picchia perché è nervoso, perché ha fatto la guerra). La donna inizia così a capire piano piano che la figlia non può fare la sua stessa fine: Giulio sta iniziando mostrare i primi segnali di una mentalità chiusa e possessiva, e Delia non può assolutamente permettere che Marcella si ritrovi rinchiusa in una gabbia come lo è lei; il ragazzo vorrebbe infatti che la ragazza lasciasse il lavoro e si concentrasse sul tenere la casa in ordine e sui loro futuri bambini. Non voglio svelarvi troppo, perché questo è un film che va assolutamente visto almeno una volta, ma sappiate solo che i soldi di Delia, alla fine, serviranno sì per Marcella, ma non per un abito da sposa.
È questo il potere che ha l’indipendenza economica, è in grado di cambiare per sempre il corso della storia.
Soprattutto se in mano a una donna.
Beatrice Tabacchi
Fonti:
https://ejbn4fjvt9h.exactdn.com/uploads/2023/11/CIO-CHE-E-TUO-E-MIO-previewsingole-3.pdf
Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica, WeWorld e Ipsos (2023)